ROHERO, Bujumbura, Burundi, 9 maggio 2015

Rohero è un quartiere periferico di Bujumbura dove hanno la loro casa le suore di Santa Teresa di Calcutta, le persone più vicine alla santità che mi sia possibile immaginare. Sono là ad accogliere i più disperati e ad assisterli, attive ed efficienti mosse da sentimenti che non nascondono una sotterranea depressione, come può accadere in chi si dedica all’assistenza del prossimo, ma motivate da qualche cosa di forte e risoluto che non riesco a definire e che certo ne fa persone speciali. Arriviamo a Rohero dopo aver attraversato Bujumbura, normalmente rumorosa e animata da un traffico sregolato e allegro dove le macchine discutono “a colpi di clacson”, oggi stranamente silenziosa e vuota come non l’avevamo mai vista. Una città deserta in un silenzio innaturale e allarmante. Lo sgangherato taxi bianco e azzurro si ferma davanti al cancello di ferro, suona, il portiere apre e, senza scendere dall’auto, entriamo nel cortile vuoto. Uno spazio con al centro un grande albero di mango sotto la cui ombra sempre si raccolgono gli “ospiti” di Rohero: persone accoglienti, sorridenti anche se le più diseredate. Cerchiamo le suore, suoniamo il campanello della loro abitazione, dopo un po’ scende una di loro. Ha l’aria preoccupata. Spaventata va a chiamare la superiora, la giovane suora indiana dall’espressione dolcissima. Lei arriva, ci accoglie, ritrova il sorriso. Le chiediamo se ha pazienti da farci visitare. Lei chiama un bambino con una osteomielite della tibia (una grave infezione dell’osso) poi una donna con una frattura di femore mal consolidata e una vecchia con un polso deforme. La tensione si allenta, il cortile si ripopola affollato e vivace come siamo abituati da anni lo conosciamo. Domani mandaci i pazienti da operare in Ospedale a Bubanza. Non hai paura? Domani è un giorno speciale, c’è un’importante manifestazione, andare in giro è pericoloso. Tutti i giorni sono speciali ma domani è più speciale. Ci vediamo domani. Lasciamo Rohero che tutto sembra essere tornato alla normalità: la paura, la violenza per il momento sono vinte. L’importante è continuare a fare “malgrado”. D’altra parte è nella logica del vivere, si fa e si continua a fare malgrado, si sa, tutto debba finire. Vicino c’è una scuola, si sentono le voci dei bambini che imparano a memoria con un’allegra cantilena.

Pietro Ortensi

 

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